Se ci siamo addestrati nel modo corretto sapremo anche che il combattimento muta su due fronti, quando la nostra mente si ferma a pensare, si fissa su qualcosa e/o quando l’avversario muta il suo pensiero, in realtà, con il mutare di questi due principi, immediatamente, l'avversario si prepara all'attacco o alla ritirata, in tal caso, "percepire" onaka (il ventre fisico, corporale) diventa haragei (ventre spirituale), il centro dell'arte dell'uomo, tale è anche il vero concetto di combattere con il ki, questo era anche ciò che il Maestro Zen Takuan considerava: "svuotare se stessi".
Per poter percepire realmente queste differenze occorre che siamo in grado di "dimenticare" le regole prefissate nei normali esercizi della pratica, raggiungendo il livello più alto del karatedo saremo in condizione di percepire il ma (spazio fisico e vuoto tra noi e l'avversario), in tal modo non avremo più bisogno di "vedere con l'occhio fisico", pertanto, quando l'avversario lancerà l'attacco, la nostra difesa sarà anticonvenzionale e sicuramente efficace.
"Nori" significa entrare nel ritmo del combattimento velocizzandone e/o rallentandone il "ma" questo principio esprime l'entrare e l' uscire dal ritmo e dal tempo dell'avversario: così facendo creeremo nell'avversario le condizioni di kyo (fenditura), in tal modo la nostra azione non verrà avvertita e sarà veloce, efficace e senza divisione, andando al di là del fisico e del calcolabile.
Su queste conoscenze si genera un "metodo", la pratica che io chiamo visibile e invisibile (omote e ura): un percorso che scaturisce solo nel momento in cui ci liberiamo del nostro corpo fisico e accettiamo il nostro stato mentale di agitazione, in quel preciso istante accettiamo la morte, uccidendoci e facendoci uccidere tutte le volte che ci poniamo innanzi all'avversario, solo in quel particolare stato appare il nostro vero "essere", il non corpo fisico.