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Ko Gaku Shin

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"Mantieni aperto lo spirito all’apprendimento".

Il punto di partenza e di arrivo di qualsiasi arte è la base della stessa, in latino ab imis (alle radici).
Se per un certo periodo dell’apprendistato si deve ricalcare le orme del maestro, in seguito, per la nostra maturazione, diventa essenziale distaccarsene e trovare la propria strada.
Per mezzo di  tale azione si colgono le informazioni necessari per conoscere il nostro corpo e fare progredire il livello tecnico personale.
E’ sempre più raro trovare praticanti di arti marziali che si applicano nelle tecniche fondamentali; le basi di un’arte sono, per tanti,  quasi sempre noiose in quanto richiedono molta attenzione: un lavoro meticoloso fatto di molte verifiche, aggiustamenti e rinvii che se non sono concretizzati da una forte passione conducono ad una strada senza uscita terminando con l’abbandono della pratica stessa. L’attività focalizzata  sulle tecniche fondamentali è anche la condizione per prendere coscienza dei propri limiti, sia in positivo che in negativo, ogni ripetizione dei gesti  è uno sforzo continuo a dilatare i nostri limiti fisici e spirituali.

La tecnica corporea di base, in giapponese “kihon” è  limitata e definita  da canoni stilistici che sono anche dettati dalle nostre qualità e predisposizioni fisiche, tuttavia, attraverso la ripetizione dei fondamentali si impara a “sfidare” le nostre incertezze tecniche, fisiche e ad affinare le capacità mentali  dell’arte marziale per progredire nella tecnica come pure nella “temperanza”, andando, con l’aiuto di un maestro, perfino contro i nostri limiti fisici conferitici dalla  genetica:“accompagnati ad un migliore di te, per lottare con lui con le migliore tue forze. Chi non è più innanzi a te non può neppure condurti  più innanzi”(Friedrich Ruchert).

Le tecniche fondamentali  consentono di proiettare nel futuro energie e conoscenze capaci di farci scendere nella profonda comprensione dell’arte e dell’attività umana, il  prodotto di tale esercizio ci  allena alla “temperanza”, cioè mira a rendere solido quello che per natura è  invisibile ma, invece,  intelligibile per “l’umano sentire”, un equilibrio a saper discernere “tra forma e contenuto”.
La temperanza allenata attraverso la pratica marziale “fa a pezzi” l’istinto e allena la volontà a combattere contro il nostro impulso naturale: in altre parole un tipo di disciplina spirituale trascendentale che si compie attraverso il movimento fisico : “ Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti in quanto questa deve essere possibile a priori ” (Kant).
Dal momento che il kihon è un esercizio che mira ad arrivare all’essenziale attraverso la fatica fisica, in latino  “per aspera sic itur ad astra”, in senso traslato «la via che porta alle cose alte è irta di ostacoli», per questo motivo è importante non bleffare con il principio e l’obiettivo della pratica, anche dinnanzi alle più alte difficoltà la sua funzione rimane sempre vitale.
La radice  marziale è in primis il codice genetico dell’arte marziale che, a differenza del kata muta, si evolve e si adatta alla struttura fisica del praticante e alle più disparate esigenze di lotta, il kihon proietta il kata nella modernità ma allo stesso tempo attinge da esso la forza, il vigore e la forma vitale di un’arte che si pone, forte della sua radice guerriera,  sopra ogni  generale arbitrio.

Il kihon è composto da due facciate, l’omote  e l’ura, la parte omote è legata alla tecnica, all’estetica  e ai canoni stilistici imposti da altri uomini; l’altra faccia, l’ura, si riferisce solamente alla legge dell’efficacia, cioè a quella dimensione dove non è contemplato lo stile che classifica e ingessa il waza, bensì risponde esclusivamente al codice della lotta per la sopravvivenza dove, in un combattimento reale, se sei sopravvissuto allo scontro significa che la tua tecnica è  confacente a tale fine.

Il kata può essere espresso anche attraverso una forma statica, il kihon invece, è movimento, azione e sincretismo applicato alle reali esigenze della lotta marziale, per conseguenza il suo incipit ne scarta o assorbe l’essenza della stessa poiché il kihon non si ferma solo alla specializzazione ma punta alla scientificità e alla totalità del principio del metodo.

Se il kata ci obbliga a rispettare la tradizione rappresentando gli antipodi del karate, il kihon ci sprona all’evoluzione  e alla ricerca, tale fine riproduce il futuro e allo stesso tempo la sopravvivenza dell’arte stessa, man mano che si perfeziona trasforma l’arte in un sistema sempre più scientificamente evoluto e al passo con i tempi.

Il tirocinio dei fondamentali “dovrebbe” accompagnare il praticante per tutta la vita, poiché la formazione è sempre collegata alla volontà dello stesso di evolvere e di studiare con il proprio corpo per conoscerlo sempre più affondo, questo bisogno metodologico è in grado di penetrare la barriera che divide la contestualizzazione  della pratica del combattimento dalla formalizzazione del rispetto dei canoni stilistici e storici, in questa ricerca gli assiomi del kihon  formano l’istanza delle moderne esigenze che rappresentano, a mio parare, una risposta alla sfida che chiede al karate, dopo lunghi anni di divisioni stilistiche, di essere “universalmente proporzionato” alle attuali necessità e convertibile ad ogni forma moderna di combattimento.

Non tutti si rendono conto che la grandiosità del karate sta nella possibilità di un sviluppo inesauribile, poiché,  essendo provvisto di tre modelli metodologici; il kata, il kihon e il kumite, l’arte è stata congeniata e strutturata in maniera perfetta: il kata è il serbatoio, la memoria storica dove attingere i principi e le esperienze accumulate da altri uomini, le nozioni basilari e la creazione da dove è scaturita la pratica marziale stessa, il kihon è il riconoscimento “fattuale”, la continua ricerca, la progressione  e l’avanzamento del sistema  tendente alla perfezione il quale man mano che passano gli anni  si arricchisce di altre umane esperienze, il kumite è il punto d’incontro di tutto questo apparato e anche il terzo fattore che offre al praticante, in un periodo di pace, la possibilità di verificare le sue conoscenze non solo scaturite dal “suo essere così” bensì da una rielaborazione del kata e del kihon fino al punto da poter essere applicato e spalmato ad ogni forma di combattimento.
A tal fine diventa illogico e improduttivo lo scollamento di una di queste tre specializzazioni: non possiamo mettere in pratica il karate e farlo ulteriormente evolvere senza considerare che l’arte della mano vuota attinge la sua “veridicità” proprio da questa trilogia che si trova come punto focale nel mezzo del metodo marziale  oggi chiamato “karate-do”.

Il Maestro G. Funakoshi scriveva: “ quando hai dei dubbi torna ai fondamentali”, questo messaggio è per tutti, allievi, campioni e maestri: quando siamo in difficoltà e ci sembra di “tornare indietro” non dobbiamo abbatterci, bisogna “sfidare il kihon” con uno spirito nuovo  e con l’entusiasmo di chi, attraverso la radice del gesto, ri-cerca ancora la genesi della propria passione; praticare, esercitarsi fino a riscoprire in ogni gesto, in ogni azione e in ogni atto respiratorio sempre più alti obiettivi  e  nuovi orizzonti.
Accademia Okugi Ryu Italia a.s.d.
Via Badazzole, 31 - 25018 Montichiari (Bs)
CF: 94019400178


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